Apprensione, imbarazzo, incertezza, paura di non farcela
Dal latino angere, ossia stringere o costringere, l’ansia definisce una emozione forte; quando apprensione, imbarazzo, incertezza, paura di non farcela, rimuginìo ci stringono come in una morsa.
Questo stato d’animo spesso accompagna alcuni momenti cruciali, come un esame importante, una visita medica dove temiamo una diagnosi, la nascita di un figlio, un colloquio di lavoro, ecc.. Ma, pur nella preoccupazione, consideriamo la cosa relativamente normale; come un di più di consapevolezza, responsabilità, sensibilità, presenza, a fronte di un evento particolarmente impegnativo.
Il disturbo d’ansia
Ma molti di noi hanno esperienza anche di quell’ansia che non riusciamo a spiegarci, che non sappiamo a cosa attribuire, come un’attesa angosciosa (ansia anticipatoria) di eventi che sentiamo come avversi e insostenibili, che fa saltare la nostra tranquillità e il nostro equilibrio psicofisico. Si tratta del disturbo d’ansia; in quanto tale da “dis-turbare” pesantemente il nostro benessere e condizionare la nostra vita.
Con stati d’animo come insofferenza, nervi “a fior di pelle”, vuoti di memoria, deconcentrazione, disturbi del sonno, rimuginìo, paura d’impazzire, paura di morire, paura di stare fuori dalla realtà (derealizzazione) o fuori da noi stessi (depersonalizzazione), senso di “sradicamento” fisico. E con sintomi fisici variamente associati, come tachicardia, sudorazione, vampate di calore, fastidio o dolore al petto, dolori o blocchi muscolari, minzione frequente, mal di pancia, brividi, formicolio, nausea, vertigini, ecc..
L’ansia nelle varie forme
L’ansia può manifestarsi come ansia generalizzata, quando è protratta nel tempo (almeno sei mesi) e con sintomi più o meno sfumati; come fobia sociale, quando uscire di casa e incontrare qualcuno costituisce una minaccia; come attacco di panico, quando i sintomi psicofisici sono particolarmente intensi e di breve durata (mediamente venti minuti); come ipocondria, quando ogni segnale minimamente inconsueto che arriva dal corpo è fonte d’inquietudine e paura; come disturbo post traumatico da stress (dpts), quando si è stati vittime o testimoni di un evento spaventoso e doloroso (calamità naturale, grave incidente stradale, rapimento, stupro), con sintomi che possono comparire anche dopo anni; come disturbo ossessivo, quando siamo ossessionati da pensieri o immagini particolarmente ricorrenti che non danno tregua, dai quali cerchiamo di distrarci con stratagemmi vari; o come disturbo ossessivo compulsivo, quando a pensieri o parole ossessive rispondiamo con comportamenti rituali per ridurre l’ansia.
Quali persone soffrono d’ansia?
Sono tendenzialmente più esposte all’ansia quelle persone che hanno stili emotivi e di pensiero mirati al controllo della propria vita o di quella dei propri cari. Le persone che hanno familiarità, per via dell’ambiente e dell’educazione, con comportamenti apprensivi e di controllo. Le persone che hanno poca autostima riguardo alle proprie competenze relazionali o di gestione dei problemi. Le persone con sensi di colpa irrisolti o non elaborati. Le persone che hanno vissuto esperienze traumatiche, direttamente o come testimoni. Le persone in uno stato di depressione.
Decidere di chiedere aiuto
A chiedere aiuto si va per lo più quando i sintomi fisici – più facili da nominare e comunicare rispetto a quelli emotivi – diventano insopportabili. O quando gli stessi sintomi sono connessi a delle vere e proprie patologie, come cardiopatie, pneumopatie, disturbi gastroenterici, disturbi dell’equilibrio, ecc..
Una prima riflessione che viene da fare è sulla solitudine, che spesso accompagna chi attraversa un’ esperienza simile. E la difficoltà a nominare ciò che si sente. Per un limite intrinseco del nostro linguaggio abituale a dare nome alle nostre emozioni, specie se intense; per paura di non essere compresi o di essere giudicati.
L’aiuto del couseling e il ruolo del counselor
Ebbene, nel counseling si accoglie innanzitutto questo senso di solitudine e isolamento. Ridimensionandolo in un quadro di senso rispetto alla vita che la persona conduce. Non certo andando a ricercare eventuali cause o –tanto meno- colpe, ma osservando e non giudicando l’emozione che si vive. Lasciandosi trasportare dalle immagini che affiorano da sole, quando si allenta il controllo e il giudizio. Anche i pensieri che emergono in questa condizione, elaborati insieme al counselor, risultano essere meno angosciosi e giudicanti; sia in riferimento a noi stessi, che agli altri; “colpevoli” di averci ferito, o abbandonato nella solitudine e nel dolore.
Può succedere allora che quelle stesse persone, e il mondo dove abitano, possano apparire via via meno minacciose e meno ansiogene.
Dott.ssa Angela Fancello
Studio di Counseling e Mediazione a Imola