Burn-out: l’esaurimento psicofisico nell’ambiente di lavoro
Per molti versi sovrapponibile alla depressione, ma più specificamente riferito al lavoro, il burn-out -traducibile come “bruciare fuori”- definisce uno stato di esaurimento psicofisico e una caduta di passione e motivazione rispetto al lavoro (non brucio più di passione per quello che faccio). Ovvero, definisce una serie di stati d’animo dovuti al venir meno di energia, concentrazione, senso, gratificazione, gioia, potere personale, autostima, sicurezza, ecc..
E, associati, tutta una serie di disturbi psicofisici, come stanchezza cronica, sconforto, apatia, “cinismo”, disperazione, depressione, ansia, insofferenza, irritabilità (talvolta agita su colleghi o utenti), ostilità, disturbi del sonno, disturbi del respiro, tachicardia, tremori, dolori o tensioni muscolari, dipendenza da sostanze, ecc.. Che possono presentarsi singolarmente o associati in vario modo.
Distanza tra la persona e il proprio lavoro
Nel burn-out c’è anche una progressiva presa di distanza tra la persona e il proprio lavoro; come uno stato d’animo protettivo rispetto a situazioni che sento come ingestibili o stressogene. E allora succede che, nel distanziamento da molti aspetti del lavoro che faccio, rischio di evitare la presa in carico degli stessi.
Molte e diverse sono le condizioni che possono portare, progressivamente, al burn-out: un carico di lavoro esorbitante a scadenza ravvicinata, rapporti problematici con colleghi o dirigenti (vissuti come intransigenti, giudicanti o prevaricatori), atteggiamenti provocatori di utenti o clienti, problemi personali, contratti precari, ecc..
L’aiuto del counseling e il ruolo del counselor
Lungi dall’intento di fare alcuna diagnosi, in sede di counseling ritengo utile innanzitutto l’osservazione di sé rispetto agli stati d’animo prevalenti, o ai veri e propri disturbi, legati a un lavoro che non sentiamo più “nostro” (“In quella situazione mi sono sentita come in trappola”). Per cui, al di là delle cause o responsabilità oggettive di malfunzionamento dei rapporti di lavoro, su cui più difficilmente possiamo intervenire; ciò che conta è il come noi viviamo o soffriamo i rapporti di lavoro. Compresa una lettura di senso che una crisi lavorativa può portare con sé.
L’obiettivo è quello di individuare insieme soluzioni possibili; tenendo sempre presente quel principio – imprescindibile per il nostro benessere generale – che è l’umanizzazione del lavoro. E per evitare la cronicizzazione della sofferenza lavorativa, che in molti casi richiede interventi medicalizzanti; non sempre risolutivi, e spesso portatori, a cascata, di ulteriori problemi, come (non ultimo) l’assenteismo al lavoro.
Dott.ssa Angela Fancello
Studio di Counseling e Mediazione a Imola