Studio Counseling e Mediazione a Imola

La mediazione familiare

Il conflitto di coppia

L’esperienza ci dice quanto, anche la coppia, vive situazioni conflittuali che, se particolarmente acute o portate avanti nel tempo, possono mettere in crisi il rapporto.
Le dinamiche alla base sono fondamentalmente quelle proprie di ogni conflitto.
I coniugi, a un certo punto della vita insieme, possono scoprire di avere obiettivi divergenti rispetto alla educazione dei figli, o rispetto alla priorità o meno da dare a una spesa impegnativa, o rispetto all’opportunità di cambiare lavoro o abitazione.
A rendere più problematica la convivenza, specie se avviata da giovani, potrebbe essere il fatto che uno dei due “si stacca” dall’altro; in un percorso di crescita personale che diventa sempre più “dissonante” rispetto a una intesa e a un’armonia originaria.

Caratteristiche principali del conflitto di coppia

Tra i più comuni denominatori, nella dialettica  dei conflitti di coppia, sono l’attribuzione all’altro della responsabilità dei problemi, definita in termini di colpa imperdonabile. Tutta la narrazione della vita in comune è un elenco di negatività, ovviamente attribuite all’altro, visto come responsabile.
Inoltre, l’attenzione rivolta al passato. Le recriminazioni reciproche sono puntualmente riferite ad eventi e situazioni trascorse. Non a caso le persone altamente conflittuali hanno particolare difficoltà a guardare fiduciose al futuro.
E l’assenza di dubbi e domande aperte, rivolte a se stesso e all’altro; che potrebbero avviare un chiarimento e una elaborazione dei problemi.

Le diverse forme del conflitto di coppia

Il conflitto diretto e manifesto

Il conflitto può essere diretto e manifesto. Quando i coniugi dominano la scena come antagonisti, litigiosi entrambi in prima persona. Ognuno vede nell’altro, dietro le sue azioni e le sue parole, una provocazione alla quale reagire. Senza sentire il bisogno di chiedere aiuto; anzi gli altri, presenti o a conoscenza dei fatti, sono visti come eventuali spettatori. Secondo alcuni autori (F. Canevelli e M.Lucardi) a muovere una modalità antagonista così forte potrebbe essere il bisogno di essere visti e riconosciuti, o in generale un bisogno di autoaffermazione o di mantenimento di un ruolo.
In questo modo di vivere il conflitto ognuno agisce in base a ciò che più irrita l’altro, forte di una specializzazione dei ruoli; per cui, in un gioco di attacchi reciproci, lei (ad esempio) potrebbe non cucinare più o lasciare la casa in disordine e lui potrebbe agire ritorsioni sul piano economico.

Il conflitto “congelato”

Se nel conflitto manifesto la coppia “si parla” -anche se con modalità esasperate e sopra le righe- altrettanto realistica è la situazione di una coppia che vive malcontento, inquietudine, disamore sotto atteggiamenti pacati e civili.
In un conflitto come congelato. Dove i partner sembrano stare come sotto una cappa di gelo “protettiva”; che aiuta a sedare un dolore subito (un tradimento, un abbandono, ecc..), a conservare un immagine sociale, a mantenere -da un punto di vista formale- il dialogo.
D’altra parte un tale congelamento risulta disfunzionale; per una difficoltà emotiva, ma anche “ideologica”, a entrare in contatto con ciò che si sente, a fare i conti con un disordine emotivo. C’è come una paura del conflitto; al punto da rinunciare ai propri bisogni.
Generalmente questa modalità riguarda entrambi e tende a resistere allo stress e al tempo.

Il conflitto delegato a terzi

Altra modalità di confliggere è quella del conflitto delegato a terzi. Quando i temi oggetto del contendere subiscono (per lo più) uno “spostamento” dall’ambito personale e di coppia ad altri ambiti: innanzitutto quello legale, ma anche quello di parenti o amici. O tutti in contemporanea;  coalizzati in fazioni “l’una contro l’altra armate”.
È come una incapacità a riferire il conflitto a se stessi; con un’assunzione di responsabilità e di fiducia riguardo alla sua gestione.

Il conflitto tra “vittima” e “carnefice”

Altra forma in cui il conflitto si presenta è la vittimizzazione. Quando uno dei partner, nella dialettica della coppia, assume il ruolo di vittima.
Come in una sorta d’incastro, nella vittimizzazione l’altro è visto o come debole da prevaricare, o come rabbioso incontenibile. E’ interessante come ciascuno tende a leggere il comportamento dell’altro: la passività della vittima è vista come forza e incrollabilità, cosa che accresce ancor più la sua aggressività; mentre la vittima vede il ricorso alla violenza come fragilità che rafforza la sua compassione passiva (F. Canevelli, M. Lucardi).
Secondo gli autori citati, tale dialettica di coppia tende a perpetuarsi nel tempo e ad andare incontro a una escalation.

I bisogni non nutriti

Come in tutti i conflitti, anche nei conflitti di coppia esiste una incompetenza di fondo ad esprimere, in modo chiaro ed assertivo, i propri bisogni. Per cui, i bisogni non espressi con chiarezza nel corso del tempo, trovano canali alternativi per emergere.

Tutti noi sentiamo con forza dei bisogni essenziali, come il bisogno di libertà, di appartenenza, di autoaffermazione. Ovviamente dopo aver soddisfatto dei bisogni primari, come quelli legati alla salute e alla sopravvivenza.
Ebbene, se nella nostra storia personale abbiamo vissuto, in qualche modo, una limitazione o privazione di cibo, una insicurezza rispetto alla casa, o un impedimento nella libertà di esprimerci, la memoria emotiva di questi bisogni non nutriti, tenderà a condizionare la nostra vita di relazione. Per cui tenderemo ad essere particolarmente suscettibili e impauriti al minimo rischio di rivivere situazioni simili. E non avendo imparato ad esprimere in modo chiaro e assertivo paure e sentimenti, questi tenderanno ad emergere con modalità più conosciute e praticabili, come il conflitto.

Il conflitto come opportunità per fare chiarezza sui veri bisogni

Il conflitto, a ben vedere, è quella modalità che nella nostra esperienza abbiamo sempre visto come il modo più efficace per “fare giustizia” o per “mettere a posto le cose”.
Per cui il sentimento d’ingiustizia fissato nella nostra memoria, se non accolto ed elaborato, può facilmente diventare rabbia che esplode; anche in occasioni che apparentemente non sembrano richiamare quei bisogni frustrati.
Di conseguenza, nel conflitto di una coppia in fase di separazione, può accadere che la posizione intransigente di un partner, riferita, ad esempio, alla valutazione del mantenimento dei figli, sottenda in realtà un bisogno più profondo, che è quello di essere rassicurati riguardo a una tranquillità economica mai avuta nella vita.

Rendendo possibile una indagine  e una osservazione di questo bisogno, si potrebbe vivere il conflitto come opportunità per fare chiarezza su quali sono i nostri veri bisogni.

La separazione

In molti casi il conflitto di coppia, in qualunque forma si manifesti, e protratto nel tempo, porta con sé la decisione di separarsi. Tale decisione non è però sempre scontata; neanche nei conflitti più virulenti e protratti; in quanto le motivazioni che portano una coppia a separarsi sono diverse e vanno anche oltre il conflitto.
I motivi che possono impedire la separazione spesso sono di ordine economico; per cui la coppia può valutare che non ci sono le condizioni minime per poter vivere separati sostenendone i costi.
Ma vi è anche, in molte coppie, spesso avanti negli anni, la visione ideologica -religiosa o meno- che un matrimonio è una istituzione che va comunque salvaguardata, costi quel che costi; in quanto il matrimonio è anche un contratto sociale e la famiglia, cellula su cui si basa la società, è una sorta di collante per la sua stabilità.
Per cui, anche nel disamore e a fronte di conflitti frequenti, una coppia può resistere negli anni in una sorta di finzione “a vantaggio” di un’immagine gradita a parenti e ambiente sociale. Anche se in questi casi viene meno una visione positiva del futuro e una progettualità.
Evidentemente, anche in situazioni che possono apparire critiche, nella coppia può resistere e persistere una dimensione comune, un noi oltre le singole individualità.
Può anche capitare che una coppia torni sui suoi passi dopo una prima decisione di separarsi; o per un ripensamento dovuto a un cambiamento nella relazione, o per via di condizionamenti di parenti o amici.
Il bisogno di aiuto in un periodo cruciale

Quando la coppia prende la decisione di separarsi entra in un periodo di transizione, di durata variabile, che si conclude -in parte- con l’acquisizione dello status di separati (che verrà poi formalizzato nella separazione legale prima e nel divorzio a seguire).
Questo momento è caratterizzato da tutta una serie di cambiamenti, di impegni e di problemi legati alla riorganizzazione della vita, che costituiscono un modo diverso di stare insieme; che mette in gioco energie e competenze da spendere per un obiettivo importante.
In un momento così critico la coppia ha spesso bisogno di aiuto e di rassicurazioni, sia dal punto di vista pratico e organizzativo, sia come sostegno morale ed emotivo.

La richiesta di aiuto

Due coniugi che hanno preso la decisione di separarsi, specie in Italia, pensano all’avvocato come prima figura a cui chiedere aiuto; per vedere tutelati i propri interessi; ma anche per mettere ordine nel caos che stanno vivendo.
Per cui, anche dentro un conflitto, che da un lato sancisce e “stabilizza” dei ruoli in commedia, è forte la paura di perdere i propri beni, i beni dei figli e la propria sicurezza.
Una controversia gestita in termini legali può soddisfare con successo queste aspettative.
Ma è anche vero che, in tutto il tempo del procedimento, consigli e decisioni risultano esterni alla coppia; in base a canoni e modalità attribuiti per legge, in modo impersonale. Per cui la coppia difficilmente si assume una responsabilità in prima persona rispetto alla situazione che sta attraversando. Anzi, specie se il problema è sentito come particolarmente pesante (es. riguardo alla cura dei figli), sarà per colpa dell’altro (c’è sempre un’attribuzione di colpa) e il mio avvocato mi aiuterà a metterlo a posto. E l’altro che ha subito l’accusa si sentirà ingiustamente incolpato e attaccherà a sua volta.
In una visione unilaterale della controversia, e con tutta una serie di recriminazioni, che l’avvocato strumentalmente utilizza e porta in una cornice normativa.
Con inevitabile escalation del conflitto. E conseguente allungamento di tempi e costi del procedimento.
C’è chi vince e c’è chi perde dopo un procedimento legale

Inoltre, in una disputa risolta solo in termini di legge c’è chi vince e c’è chi perde. Il coniuge che vince vede le proprie ragioni accolte e prese in considerazione; e confonde questo con l’avere ragione. Mentre il coniuge che perde vive l’evento come una sconfitta personale, sente frustrati i suoi bisogni e le sue ragioni; e scopre un altro lato della giustizia, maturando l’idea di una “giustizia ingiusta”.
Questo porta con sé tutta una serie di stati d’animo, come rancore, spirito di rivalsa o di vendetta, che mirano a ripristinare un equilibrio nel riconoscimento delle ragioni di ognuno. Il coniuge farà ricorso per vie legali, o metterà in atto tutta una serie di comportamenti reattivi per farsi giustizia da sé.

Un altro punto di vista sul conflitto di coppia:

La filosofia del win-win

Vincente -Vincente. Ovvero quando a seguito di un conflitto non c’è chi vince e chi perde, ma vincono entrambe le parti. Perché sia l’una che l’altra sono state viste e ascoltate nelle loro ragioni e non giudicate.
Ciascuno ha imparato a guardare all’altro per quello che è: diverso nelle idee, nei modi di esprimersi, nelle percezioni, nella sensibilità, nelle emozioni. E ha imparato a “validare” ciò che appartiene all’altro. Sei diverso da me, ma la tua diversità ha un senso e una ragione d’essere e non mi disturba più come prima.
Riconoscendo all’altro competenze, gusti e stili diversi dai miei, ritengo sia naturale per ciascuno ambire a beni e prerogative altrettanto diversi; per cui non ho più bisogno di prevaricare nel mio punto di vista per affermare me stessa, e di “giocare” a chi vince e chi perde. Ma entro nell’idea che le diversità, nella relazione, “giocano” in maniera complementare e creativa.
Per cui vinciamo entrambi.

Verso una trasfigurazione dei nostri atteggiamenti abituali

 Questa sorta di trasfigurazione, di trasformazione dei nostri atteggiamenti abituali di fronte a un conflitto, è ciò che avviene grazie alla mediazione. Ovvero, quello strumento che consente di attraversare il conflitto, non solo come luogo in cui “giocano” emozioni negative (talvolta devastanti), ma anche come occasione di crescita in cui mettere in campo i nostri bisogni, le nostre ragioni, le nostre competenze inespresse; imparando sia ad esprimerli, che a riconoscere ed  ascoltare quelli dell’altro, andando oltre lo scontro.
Riconoscendo -senza giudicarci- che, se si è arrivati allo scontro, è perchè non si è riusciti a fare di meglio. In quanto, in assenza di una educazione emotiva, abbiamo difficoltà ad esprimere in modo chiaro e rispettoso i nostri bisogni; per cui può accadere -per forza di cose- che questi emergano in occasione di un conflitto, sebbene in modo distorto o aggressivo.

La mediazione familiare

Linee generali

La mediazione è quello strumento per cui due coniugi intenzionati a separarsi possono sedere intorno a un tavolo e dialogare rispetto alla loro separazione davanti a un mediatore, come figura terza imparziale, equivicina ad entrambi. Con l’obiettivo di pervenire a soluzioni condivise e di  trovare un accordo riguardo alla riorganizzazione della propria vita e di quella dei propri figli.

La mediazione è una opportunità di vivere il conflitto legato alla separazione in maniera totalmente diversa rispetto alle modalità consuete. In mediazione il conflitto viene accolto e “fermato”. Viene considerato come una realtà da osservare; per leggerne il senso e la sua ragione d’essere.

La mediazione è una relazione di aiuto di tipo counsiliare, applicata all’evento separativo. Per cui il mediatore ha il ruolo di aiuto e di facilitazione, affinché la coppia trovi in se stessa le risorse per affrontare il momento critico che sta vivendo.
Per reiniziare, dopo un certo tempo, a parlarsi e ad ascoltarsi l’un l’altro; in quanto nel conflitto si è come ciechi e sordi all’altro. E per arrivare a riconoscersi come interlocutori e come genitori affidabili.

Un percorso di mediazione è costituito da una serie di incontri -da otto a dodici in media- dove le  prime due-tre sedute servono, oltre che per conoscersi e spiegare il lavoro che verrà fatto, anche come verifica di una effettiva volontà di separarsi.

Piena responsabilità e autonomia decisionale dei coniugi

Gli accordi presi in mediazione, che riguardano la riorganizzazione della vita, la casa, la gestione dei figli, sono presi in piena autonomia decisionale dei coniugi.
Non è la legge, in modo impersonale, a decidere per i coniugi e per i figli, con una soluzione eterodiretta, ma sono i coniugi ad assumersi la responsabilità in prima persona.
Una decisione presa in piena responsabilità costituisce un impegno, in special modo, con se stessi. Ciò ha il vantaggio di far sperimentare un potere personale, che ogni partner non può che vivere con pienezza e soddisfazione. In quanto vive la scelta come in linea con i propri schemi e con i propri bisogni; precedentemente chiariti nel percorso di mediazione.
E inoltre, quando una soluzione è presa in autonomia e soddisfa entrambi i partner, resisterà maggiormente nel tempo.
Per “stabilizzare” ulteriormente le scelte fatte in mediazione, il mediatore può proporre una prima stesura di accordo -ad esempio sulla gestione delle vacanze con i figli- da sperimentare e sottoporre a verifica dopo un tempo definito.

Il ruolo del mediatore familiare

La narrazione del conflitto in mediazione

Se i coniugi vivono un malessere crescente, che porta tensione, aggressività, recriminazioni reciproche; al punto da alimentare -loro malgrado- una sofferenza personale e a creare un clima sempre più teso intorno a loro, è opportuno prenderne atto. In quanto il malessere è legato a una storia personale -propria e della coppia- densa di eventi felici, ma anche di momenti critici; che da un certo periodo in poi sono diventati più presenti e prevalenti rispetto ai primi.

Chi arriva a confliggere è perché, per carattere, per cultura o per educazione, tende a gestire il malessere  in modo frontale e contrappositivo. Ovvero, tende ad attribuire all’altro o alle avversità della vita la negatività  che sta vivendo; descrivendola in termini di colpe imperdonabili.

Il ruolo del mediatore: una prospettiva diversa nella narrazione del conflitto

Ebbene, in mediazione si apre una prospettiva diversa.
Il mediatore invita i coniugi a riflettere sulle dinamiche del conflitto: sulla difficoltà ad esprimere una delusione, una frustrazione, un errore “imperdonabile”. Provando ad elaborare il problema non più in termini accusatori, ma in riferimento a se stessi e alle proprie aspettative frustrate. In quanto non può esistere una lettura unica dello stesso, ma delle percezioni e dei sentimenti che ciascuno deve attribuire a se stesso. “Quando vedo come ti comporti, in mezzo alla gente o con i bambini, io mi sento a disagio e sto male”. In questo modo non si giudica  il comportamento dell’altro come obiettivamente riprovevole, ma si dice come ci si sente quando l’altro si comporta in un certo modo.
Si sta comunicando una emozione e un sentimento; che arriva al cuore e non è giudicante.
Il coniuge che riceve una comunicazione formulata in questo modo, può sentirsi invogliato a riflettere sul suo comportamento, e su come questo può condizionare i suoi familiari.

Il giudizio è invece un’accusa, che fa sentire umiliati e colpevoli, e sofferenti fisicamente: con sensazioni di tensione, sudori freddi, tachicardia, ecc.. Che anticipano una rabbia crescente e provocano  resistenza,  rigidità e chiusura al dialogo.

Compito del mediatore è quindi indurre e favorire un cambio di prospettiva nella narrazione dei contenuti del conflitto; con l’obiettivo di pervenire a una comunicazione efficace dei bisogni e dei punti di vista di ciascuno.
Il mediatore dà ascolto ed empatia alla sofferenza che i coniugi stanno vivendo, e li invita a fare altrettanto; ovvero li affianca e li aiuta ad essere fiduciosi e ad aprirsi all’ascolto l’uno dell’altro.
Tutto ciò non è facile né immediato: l’aprirsi all’ascolto presuppone il riconoscimento dell’altro come interlocutore; nonostante i contrasti e la decisione di chiudere una relazione.
La motivazione, la competenza e l’esperienza del mediatore, e l’uso appropriato degli strumenti operativi (cfr, Strumenti operativi), sono orientati ad aiutare i coniugi a gestire queste difficoltà; per favorire una comunicazione la più efficace possibile.
In quanto, se ciascuno non fa davvero i conti con le proprie emozioni negative, non entra in contatto con esse, non le accoglie e non le osserva, avrà difficoltà ad osservare quelle degli altri e a porsi in ascolto dell’altro. Dinamica, quest’ultima, che è la vera essenza della mediazione.

La mediazione secondo Jacqueline Morineau

Jacqueline Morineau rappresenta la figura d’elezione della mediazione di orientamento umanistico. Archeologa di formazione, basa il suo metodo e stile di mediazione sulle dinamiche proprie della tragedia greca. Per maggiori informazioni clicca qui.

Dott.ssa Angela Fancello

Studio di Counseling e Mediazione a Imola

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